Re-make

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Un pezzo di qualche tempo fa, editato e pronto per l’antologia di Apostrofo, di prossima pubblicazione.
Mi dirai: ma non eri andato via? Risposta: sto progettando un trasferimento, ma la pelle del blogger è difficile da scalpare.
Poi, se davvero vuoi rompermi le palle, obietterai: Ok, ma questo pezzo lo avevi già pubblicato, e allora? Conterò fino a dieci e poi ti dirò: le cose non vengono mai a caso, e quindi visto che è quanto mai singolare ritrovarmi questo scritto tra le mani proprio adesso, con le considerazioni che mi porta a fare e il suo carico di attuale tristezza, lo posto di nuovo, e poi, me l’hanno appena editato, come ho detto, anzi, arrivato giusto stasera.
Quindi, ecco qui, con una dedica speciale.

 
Vite separate

Mi avvicino alla finestra, che è sempre aperta, e guardo fuori.
Piove a raffiche forti e un vento freddo mi invita a farmi da parte ma si illude se crede che io mi sposti di un millimetro; sono secoli che sto qui e quando sarà volato via – finisce sempre, il vento – anche lui entrerà a far parte della galleria dei ricordi. Mi lascerà forse qualche ruga sul volto, ma che importa: il mio è un volto preso a prestito. Io non sono il mio corpo, ma quest’anima in maglia a maniche corte che resiste al vento e guarda la pioggia.
La luce cala lentamente su un nuovo giorno che si avvicina alla fine.
Osservo le bolle colorate degli ombrelli frettolosi per strada, l’auto che cerca di occupare con elaborate manovre uno spazio troppo stretto per poi rinunciare con un sacramento di rombo e una accelerata che sfiora pericolosamente quel cane con tre gambe soltanto, che non vedevo da giorni; arranca e quindi non è morto. Poco distante, nel palazzo che ospita la scuola, alcune stanze sono illuminate. Attraverso i vetri smerigliati si intravedono ombre di zazzere e trecce, colori sfumati che esplodono in risa e poesie declamate ad alta voce, schiamazzi e, raramente, qualche pianto.
L’aroma di noccioline tostate e caffè fresco sale dalla torrefazione, portato oltre l’angolo da quel vento che sembra aver perso ogni velleità di conquista, acquietandosi.
All’ora stabilita le luci per strada si accendono. Qualcuno, in questa città, si è preoccupato di illuminare la via anche per me.
L’asfalto adesso scintilla, macchiandosi di effimera luce dove le gocce di pioggia cadono e muoiono con un lampo che solo i miei occhi vedono. Altri occhi vedranno altre scintille, identiche e diverse, poco distante o a chilometri da me.
Alla mia sinistra, dove io so che c’è il mare, una linea sottile di arancio divide in due il cielo nuvoloso. Sotto, un viola intenso ma cupo; sopra, un blu stemperato che a tratti si coagula in macchie più scure.
Socchiudo gli occhi e cerco di sentire l’esistenza di quella moltitudine di persone che si affolla intorno a me, correndo, accendendo e spegnendo luci su amori, pensieri ed emozioni.
Sotto ogni bolla di ombrello c’è un cappotto che nasconde quello che ognuno neanche sa di possedere: i sentimenti impossibili da condividere, tutto ciò che è frutto di una storia individuale, di pianti in solitudine, di solitarie rinunce.
E’ doloroso considerare che ogni emozione, per quanto illusoriamente condivisa, sia destinata a restare per sempre bloccata nel corpo, in qualche modo inespressa.
Non puoi capire come io arrivi alla gioia o al pianto attraverso immagini interiori che scorrono con un montaggio ed una regia del tutto personali.
Non hai percorso le mie strade, nei miei giorni e nelle mie ore.
Non hai visto le mie albe, quali paure la luce del giorno facesse fuggire via e quali portasse con sé.
Così io, di te.
Vorrei avere la forza di resistere contro questa finestra per giorni, vedere lo spostamento di luce e sentire le variazioni di temperatura; vorrei affondare in questo spazio tanto a lungo da arrivare a comprenderne i limiti e il senso. Qualcosa mi sfugge, nascosto dietro al muro del cielo.
E qualcosa mi sfugge dietro al muro di ogni volto che incontro e dietro la barriera di ogni ombrello che corre veloce per strada, verso una casa nella quale asciugarsi, appoggiato in un angolo, accanto al cappotto appeso al muro e alla vita lasciata cadere vicino alla porta di ingresso.
Io ti guardo e non ho un modo per capire che cosa pensi, devo fidarmi di quello che mi dici. Per quanto io spinga e tu apra, le nostre anime rimangono aderenti in superficie, sformandosi l’una contro l’altra, come se fossero chiuse in un sacchetto di plastica.
Non esiste un modo di accoccolarmi in te nello stesso giorno, mentre guardiamo lo stesso tramonto, vicini ma separati dalla geometria dell’universo. Tu puoi crearti una mia immagine e posizionarla nel tuo cuore o nella testa ed io non saprò mai dove sono finito, quanta luce c’è, se fa caldo o freddo.
Posso raccontarti del giardino nel quale ho costruito una casa per te e di quando si alza il sole e di quando cala la notte e gli alberi e i fiori e i frutti, ma tu non sarai mai in grado di raggiungerla. Davanti al mio camino, non potrai mai scaldarti ad un fuoco che io non ho acceso per te.
Oggi pensiamo di vivere una storia insieme, con identiche aspirazioni e intensità, ma non riusciamo a forare la barriera degli occhi e delle parole.
Le immagini che abbiamo con tanta cura posizionato non corrispondono alla realtà: sono soltanto le proiezioni dei sogni che ci accompagnano nella vita, gocce d’acqua destinate a morire sul terreno nell’istante in cui rubano la luce ad un lampione, dopo una folle corsa per un vuoto cielo.
E così, a volte, ci guardiamo stupiti, perché credevamo di stare sulla spiaggia a goderci il sole del primo pomeriggio, pregustando il bagno che avremmo fatto insieme, a schizzarci le onde, mentre invece scopriamo di aver bisogno di sciarpe, guanti e medicine; la notte è caduta, gelida, l’inverno è arrivato.
Guardo a questo inverno dalla mia finestra, le gocce di pioggia sulla strada, la gioia del profumo di caffè nell’aria.
Tu, ne sono certo, lo stai guardando dalla tua.

8 thoughts on “Re-make

  1. lo ricordo molto bene e la premessa che fai comincia a farmi intuire il tuo stato d’animo.
    Scusa se prima ho scherzato.
    Ti auguro e auguro a chi ti legge con piacere molte altre antologie.
    Perchè significherà che non hai perso nulla di te stesso, come sono certa che sia

  2. si, è proprio un bello scritto.
    pensavo in questi giorni che le cose buone che si scrivono sul blog si perdono, in qualche modo, mentre quando sono stampate, hanno un luogo, una casa, e non è solo della dimensione fisica del libro che parlo: si possono avere sottomano facilmente, per rileggerle, per caso o volutamente.
    I tag aiutano ma non bastano. Bisognerebbe ordinare i post migliori, stamparli e rilegarli.
    Lo facciamo? 🙂

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