Guardami: è così che scivolo tra le infinite varianti delle possibili realtà che questo universo in modo silenzioso, misterioso e nascosto ci regala.
Lascio i panni del pagliaccio e tiro indietro due passi, il sipario si chiude e la luce si abbassa. Poi nel buio solo l’attesa. Ma ognuno sa che dietro il pesante tendaggio qualcosa si muove, e un evento si prepara. E anch’io lo sento. I respiri si fermano, le mani si incrociano e anche gli occhi vorrebbero, se non frenati dalle tenebre. Si apre un velo, una luce si fa strada nel buio. Un foro nell’anima. Un sorriso velato. E una musica ad aprire la via. Vorrei dirti: siamo liberi adesso.
Nel mio sorriso su questo palco che è la nostra vita, puoi trovare le mille risposte all’unica domanda che da sempre ti poni.
Sul tetto del cielo c’è un sole che scende, le nuvole gli corrono intorno. I miei passi leggeri, su questo tappeto di ghiaia, parallelo all’orizzonte, e il mare contro.
Siamo liberi.
L’aria intorno a me vibra, satura della paura che voci sottili rincorrendosi vorrebbero farmi provare: se fossi qui, con me, potresti sentire la lieve brezza del mio silenzio. Il mio riparo, l’indifferenza.
Nel buio di un tramonto decomposto mille ombre si agitano alla periferia dei miei occhi, quasi volessero circoscrivere un territorio di loro esclusiva pertinenza, e danzano felici e ammiccanti quando le guardo, e si fermano a prendere fiato, deluse, se distolgo lo sguardo. Capiscono bene di non essere reali: sono soltanto l’assenza di luce. E i miei occhi sono fari che scavano il buio.
Vorrei dirti.
E’ solo un passo indietro, tutto quel che serve.
Il sipario si chiude, ma c’è più vita dietro le quinte di quanta potresti vederne da una poltrona della platea. Nel buio, poi. La senti, l’attesa?
Puoi lasciare il buio della sala, raggiungere l’uscita. La breve pantomima alla quale avresti potuto assistere, non ti mancherà. E’ una finzione. La libertà è fuori. E’ adesso.
Potresti obiettare: ma ho pagato il biglietto. Io ti risponderei: hai pagato più di questo.
Hai speso parole per costruire un mondo al quale non appartieni, fatto di palazzi dai portoni chiusi e strade che portano sempre lontano, più lontano, e l’orizzonte dietro il quale si affaccia questo sole malato è solo una linea facile da scavalcare. Più sotto, e oltre, solo il vuoto.
Hai impiegato gesti a frenare l’aria che si muoveva libera intorno a te, e con la sola forza del pensiero hai costruito uno scudo di vetro, pesante per le tue braccia, ma guarda come scintilla al più lieve tocco di luce. Il tuo sguardo lo trapassa volentieri. Ogni altro sguardo contrario, dal fuori verso te, rimbalza e si ferisce contro lame scintillanti.
Non so se davvero hai chiuso gli occhi, in questo spazio di buio, di attesa e tende chiuse. Ma se hai lasciato la sala, vorrei dirti: ci vediamo fuori.
E’ sempre fuori, che puoi trovarmi.
Siamo liberi.
Anche se tra le pieghe del sipario io mi attardo e mi affanno a cercare la faccia che ho perduto, scartando e gettando alle spalle le mille e mille che non ho conosciuto mai.
