Prima che la baciassi lei si mise in bocca uno di quei cioccolatini ripieni di liquore, con la ciliegina. Mentre le spingevo la lingua dentro lei premette la sua contro il palato, il cioccolatino si ruppe spargendo il contenuto e una supernova mi esplose nel cervello. Avevo sempre pensato che una cosa del genere mi avrebbe schifato, ma non era così. Non con lei.
Tirai fuori la lingua, la baciai lieve sulle labbra guardandola negli occhi. Lei trattenendo un sorriso masticò un paio di volte, frantumando la ciliegina, io le infilai di nuovo la lingua in bocca.
Cercavo ogni singolo pezzetto di cioccolato per premerlo e scioglierlo contro il suo palato, i denti, le gengive. Lei faceva lo stesso con me, e questo andò avanti un pezzo; i movimenti delle lingue accelerarono e si fecero convulsi, come si trattasse di una gara a chi per primo riusciva a fondere l’intero universo nella bocca dell’altro.
Lei mi serrò una mano sulla gola, per farmi intendere che non voleva lasciarmi deglutire. Piccoli frammenti di ciliegia passavano da una bocca all’altra, in una giostra impetuosa.
Un calore intenso si diffuse per tutto il corpo, un’ondata feroce che annullava ogni pensiero.
Sembrava che la cioccolata penetrasse attraverso la mucosa della bocca e arrivasse a infiammare ogni singola cellula del corpo.
Le lingue mulinavano impazzite.
Aprii gli occhi e mi vidi specchiato nei suoi, addirittura spalancati a fissarmi con selvaggia bramosia, e forse una punta di sorpresa. Avrei potuto sorridere, se non mi fossi trovato impegnato a quel modo.
Quasi avessimo il timore di perderci, insieme ci prendemmo la testa tra le mani, tenendoci fermi, premendo ancor di più l’uno contro l’altra.
Io guardavo le sue guance gonfiarsi e contrarsi assecondando il movimento della lingua. Le narici si dilatavano per il forte ansimare, le sue mani mi artigliavano la nuca. Sembrava impazzita. Mi chiesi se anche io le stavo restituendo la stessa impressione.
Due pazzi.
Poi lei sembrò rilassarsi. Il suo corpo si afflosciò contro il mio, in una totale aderenza. Un lungo sospiro caricò tutto il suo peso su di me, le braccia scivolarono lungo il corpo, mi cinsero la vita.
Le nostre lingue presero un movimento più lento, e come al tocco della bacchetta di un direttore d’orchestra, insieme mandammo giù il risultato dei nostri sforzi.
Adesso il sapore non era più così intenso.
Continuammo a baciarci a lungo, annientando ogni residuo di gusto, finché il movimento della lingua mi parve meccanico, faticoso, un gesto privo di senso.
Una lama di luce attraversò il vetro della finestra giungendo a ferirmi gli occhi. Spostai la testa di lato e questo dovette sembrarle un invito, visto che prese a baciarmi con rinnovato vigore.
Nella penombra appena conquistata, aprii di nuovo gli occhi a guardarla. Pareva completamente assorta nel nostro lunghissimo, estenuante bacio. Non un solo pensiero le piegava la fronte. Restai per qualche istante a guardarla, ammirato da tanta dedizione. Non mostrava il più piccolo accenno di stanchezza, mentre io faticavo a tenerle testa.
Pensai a tutta la strada percorsa per raggiungerla, la stessa che mi avrebbe impegnato nel ritorno, alla cena ancora da spacchettare chiusa nel frigo, alle inutili parole che avremmo speso seduti a un tavolo che sembrava unirci mentre invece ci separava.
Pensai al vino che non avrebbe attenuato il senso di distanza e la voglia di fuggire via.
Venni preso da un senso di assurda nostalgia per i giorni trascorsi senza scopo, scoloriti e sfumati nel ricordo, desiderando tornare a cambiare qualcosa. Qualsiasi cosa. Un gesto compiuto d’inverno poteva contenere il calore dell’estate.
La lingua affaticata iniziava a fare male, ma non volevo staccarmi per primo e mostrarle l’evidenza della stanchezza. Le avrei letto negli occhi domande alle quali non avevo il coraggio di offrire risposta.
Disponendomi all’attesa di un movimento che giustificasse l’atteso distacco, un senso di assoluta tristezza prese il posto del calore provato poco prima. Mi sentivo intrappolato nelle sue aspettative, nella speranza che insieme avevamo cullato sin dal nostro primo incontro, quando la gioia di una tanto attesa promessa sembrava rivestire di nuovi abiti il manichino dal sorriso spento, pronto per il cassonetto dei rifiuti.
In quel momento rimasi sorpreso dalla mia forte capacità di sopportazione, della quale non mi sarei creduto capace. Era tale la volontà di non deluderla, che mi sentivo pronto a qualsiasi sforzo per mascherare l’insofferenza e la stanchezza.
Lei sembrava così dolce e indifesa, con i suoi occhi chiusi e la faccia spinta contro la mia.
Ma la cioccolata, era finita.
