Mercato centrale

Siamo arrivati al Mercato centrale, il cuore pulsante della città. Frequentato nel corso degli anni da numerose generazioni di livornesi, ognuno nelle sue ampie sale può trovare il ricordo di qualche persona cara, perduta per incuria o sfortuna, o per legge naturale. Varcare la soglia di uno dei grandi portoni ha per molti il senso di un rientro in famiglia.
Attilio è appena uscito, dopo aver comprato un paio di salsicce dal suo norcino di fiducia, e un barattolo di fagioli rigorosamente garantito senza conservanti. Adesso pedala con forza verso via Garibaldi, pregustando il suo piatto preferito: fagioli in umido con salciccia, ripassati in padella con salsa rustica di pomodoro, e un rametto di rosmarino annegato nel sugo a dare un tocco di speziato. Naturalmente, non ha dimenticato di procurarsi una boccia di vino rosso. Quando poserà il fiasco sulla tavola, come sempre dirà sottovoce: è arrivata la luce.

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Ascanio

Quando vedete un uomo fermo al bordo di una piazza, lo sguardo piantato verso un punto preciso, vi capita mai di chiedervi che cosa sta aspettando? E da quanto tempo?
Vi trovate alle sue spalle, e quindi non potete decifrare dall’espressione del volto se l’attesa è piacevole, o penosa. Se sorride sapendo che dovrà aspettare ancora per poco, o se nel tempo ha invece perso la speranza. Se non è più un’attesa, ma soltanto rassegnazione. Se è amore, gioia, disperazione. O magari un tentativo di ingannare il tempo, oppure il visitare un luogo di ricordi, dopo una lunga assenza. Se è una pausa, o il termine di un tempo quasi infinito.
Forse qualcosa di importante sta per accadere, forse invece è ormai tutto completato. Risolto. O chiuso.

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Anita

Anita è convinta di condurre una vita banale. E’ così che la pensa: banale. Se qualcuno le chiedesse informazioni intorno al suo quotidiano, risponderebbe: banale. Ma dentro di sé capisce che è soltanto un paravento. La formula che sceglie per non dire niente facendo finta di dire tutto. E lei, che è un’insegnante, potrebbe davvero aver selezionato questo aggettivo come un muro dietro al quale nascondersi. Una parola tutto sommato inoffensiva. Un comodo riparo per evitare la pioggia. Chi è capace di andare oltre al banale? Guardare al di là, per scoprire cosa nasconde. Nessuno indaga o approfondisce. E’ un’immagine talmente abusata che chiunque è persuaso di averne l’esatta visione, di comprenderne il pieno significato.

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Ettore

Se avesse voglia di guardare al passato, scoprirebbe che soltanto una cosa, nel corso degli anni, lo ha sempre sostenuto e guidato: la potenza evocativa del proprio nome. Tiene costantemente presente la figura dell’eroe sereno, impegnato nella difesa della città, pronto ad accettare una sfida che sa di non poter vincere, e che affronta la morte a viso scoperto, conoscendo in anticipo l’esito del duello: impossibile contrastare il mostruoso invulnerabile Achille. Questa immagine informa ogni suo respiro.
Certo: l’eroe sconfitto fallisce il tentativo di salvare i suoi affetti più cari, e neanche riesce a immaginare l’inganno che presto aprirà le porte al nemico: la sua stessa dignità gli impedisce di figurarsi un atto tanto meschino, e forse in cuor suo accoglie la morte con la dolce accettazione di chi sa che gli verrà risparmiata l’immensa amarezza finale.

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Loriana

Loriana ha deciso: vuole smettere di fumare. Nella tasca del giaccone ballonzola quello che nelle sue intenzioni dovrà essere l’ultimo pacchetto. All’interno, cinque sigarette ciottolano come dadi pronti ad essere lanciati. Tutto sommato, un suono rassicurante.
Loriana cerca di sondare la profondità della propria convinzione. Con cinque sigarette non arriva neanche all’ora di cena. Magari potrebbe comprare un pacchetto e tenerlo di scorta, perché sua madre cucina troppo bene, e la sigaretta dopo aver mangiato è una delle migliori in tutta la giornata.
Si ferma in mezzo all’incrocio di piazza Cavour, fruga nelle tasche, estrae lo stretto cilindro, accende.
Quattro sigarette.
A guardarla bene, questa schiavitù è davvero insopportabile e mortificante, pensa, mentre con gli occhi socchiusi aspira una profonda boccata.
Lo sguardo le cade sulla punta delle dita: anche mangiarsi le unghie è una cattiva abitudine. A lungo andare, sta arrivando al sangue. Dovrà porvi rimedio. Magari dopo aver smesso di fumare.

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Felice

E’ felice, di nome e di fatto. Lo è sempre stato, fin da quando era bambino. Per quanto indietro lui riesca ad arrivare sulla linea del ricordi, si scopre sempre con il sorriso in bocca. A frugare nella scatola che contiene le sue vecchie fotografie, si può soltanto trovarne la conferma. Questo, naturalmente, togliendo dal tavolo le inevitabili tragedie che ogni tanto la vita ci rifila. Di certo nessuno l’ha visto sorridere al funerale del padre, tranne in brevi occasioni, quando un amico di vecchia data proponeva il racconto di un qualche aneddoto con lo scopo di evidenziare la bellezza di carattere del defunto. Come si dice?
Non c’è matrimonio senza pianto, né funerale senza riso.

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Angela

Angela rientra a casa con la schiena a pezzi. Persino attraversare il ponte dell’Angiolo è una fatica. Rallenta il passo. Man mano che si avvicina al portone, più forte prova il desiderio di fuggire via. O almeno rimandare. Ciò che la piega, più della stanchezza, è la disperazione. Forse non è la parola giusta.
Rassegnazione.
Angela ha bene in mente i rituali da compiere prima di giungere al precario oblio che la attende in camera da letto, quando finalmente potrà distendersi sul materasso e abbandonarsi al sonno inquieto che per poche ore la separerà da un nuovo giorno, fatto di scale da pulire e pianti da reprimere. Non sa più quale sia il suo vero lavoro: se pulire interminabili serie di gradini o cancellare le lacrime che le salgono agli occhi.

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Anna

Anna si ferma a guardare la vetrina attraverso la grata della saracinesca tirata giù, poi alza gli occhi come a fissare l’insegna del negozio ancora accesa. La sua amica resta con un piede rasoterra, frenata nello slancio e resa incerta dagli occhi forse tristi di Anna, nel breve lampo di un attimo, persi in un vuoto di cui non conosce il nome.
Sembra guardi l’insegna, Anna, ma non è così: solo a piccoli scatti si concede di indugiare col ricordo a vivere oltre il vetro della finestra che sormonta il negozio. Attraverso spessi strati di polvere riesce a intravedere lunghe file di scatole accatastate alla rinfusa, appoggiate a pareti che conosce bene. Spigoli di cartone tagliano le ombre come coltelli.
E’ solo un attimo. Una sbavatura sulla vernice. Ma è come una nuova crepa in un muro che non sa più come tenere in piedi.

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