Isolina

Isolina scende dall’autobus che l’ha raccolta davanti al cimitero chiamato “ai Lupi”. Prende il nome dalla famiglia che possedeva quell’immenso terreno. Adesso invece dei cavoli ci crescono le lapidi.
Ogni mercoledì Isolina si reca in visita alla tomba del marito, morto da più anni di quanti lei abbia voglia di ricordare.
Scende dall’autobus e non si volta a guardare la maestosa figura della Fortezza Nuova, come un tempo faceva. Non l’ha dimenticata: in fondo è il luogo dove ha ricevuto il primo bacio, anzi spesso si è soffermata ad ammirarla sorridendo tra sé, perché quel bacio non l’ha avuto dal tizio che sarebbe diventato suo marito.
Ma era tanto giovane, e in fondo nelle cose che contano soltanto il suo povero marito è riuscito a conoscerla davvero.
Incamminandosi verso casa, si chiede perché questa sera è scesa così tante fermate prima della solita. Dovrà percorrere l’intera via Grande, e questo le sembra un incredibile atto di coraggio.
All’aperto si sente vulnerabile, e le risulta difficile affrontare i ricordi. Anche se per ricordare davvero quella via, la sua mente dovrebbe spingersi un’eternità indietro nel tempo.
Cammina con una certa fretta, Isolina, già pentita di non aver proseguito la corsa in autobus. A lei non piace stare fuori casa.
Non ha neanche la voglia, di uscire. Restare in casa non è un peso. Intorno a lei, la città è cambiata: distrutta dai bombardamenti dell’ultima guerra e poi ricostruita senza star tanto a pensarci su. Palazzoni moderni, che all’inizio sembravano anche belli, ma che con il passare degli anni hanno preso un’aria vecchia e stanca, più delle antiche costruzioni rimaste in piedi, dove le bombe non hanno picchiato.
La via Grande di quando era una ragazzina non esiste più. E quel che hanno costruito, una volta sgombrate le macerie, dopo qualche tempo riusciva soltanto a ferirle gli occhi, e non poteva neanche considerarle case. Fori rettangolari sulla facciata di una piccionaia.
La maggior parte del tempo resta in casa, da sola, piantata di fronte alla finestra, a fissare il mare.
Messa così, verrebbe da chiedersi quale senso abbia restare abbarbicata a una vita ridotta ai minimi termini. Le restano soltanto gli occhi per vedere.
Può sembrare patetico, ma sono i ricordi a tenerla in vita. Gli occhi della mente sono più veloci e precisi di quelli che usa per guardare. I ricordi racchiusi tra quattro mura sono dolci e in qualche modo consolatori, mentre quelli che la aggrediscono ogni volta che mette piede fuori sembra vogliano morderla o tagliarla.
Isolina guarda attraverso i vetri della finestra, e quando il sole inizia a calare, piega la testa e socchiude gli occhi, come per ascoltare. Le voci le giungono cristalline, ogni giorno più precise.
Vede il mondo che ha perduto, trascinato nel nulla dallo scorrere inesorabile del tempo. O almeno lo immagina. Soltanto il sole rimane lo stesso, da sempre. E il mare. E’ una consolazione.
Può sembrare strano, ma tra le decine di voci che affollano la sua testa, quella del marito non è tra le più nitide, ma viene anzi soppiantata spesso da quelle delle persone che conosceva quando era una ragazza, e poi una giovane donna.
Tutti morti, naturalmente. Ma le loro voci sono con lei.
In questi ultimi giorni, sempre più spesso le giungono alle orecchie le parole delle sue amiche, quando con occhi meravigliati le dicevano Come parli bene, Isolina! Un libro stampato, sembri. Una maestrina.
Lei sorrideva, abbassava gli occhi, ma sapeva che quanto affermavano era la semplice verità.
Isolina a quei tempi si muoveva sicura attraverso il mondo, dove al contrario di oggi non vedeva alcun pericolo, forse perché non si era mai sentita così sola.
Arrivata di fronte al Duomo, un vento improvviso e freddo la schiaffeggia. Si ferma, come stupita da una visione inaspettata. Ma intorno a lei, solo poche persone si affrettano verso casa.
Per la prima volta, Isolina si chiede quando la sua vita ha iniziato a sgretolarsi.
La morte del marito, certo, ma per qualche motivo è sicura che il lento declino, quella specie di malattia che ha finito per murarla in casa, è partito molto prima.
Quando ha iniziato a vacillare?
Ricorda le prime piccole delusioni, le innocenti paure celate dietro un tremulo sorriso, di fronte agli occhi fermi di quello splendido uomo che sarebbe diventato suo marito. Gli sguardi invidiosi e le prime maldicenze delle amiche. La difficoltà a credere in una splendida favola.
Ricorda come ha iniziato a mascherare di dolce arrendevolezza gli spigoli che lui sembrava scoprire nel suo modo di porsi, nel carattere. Quando ha imparato a frenare la lingua e a distendere il volto prima di parlare.
Ricorda il giorno in cui ha chinato la testa per la prima volta, accettando un ruolo che la vedeva subalterna, incapace di decidere per sé. E poi la seconda volta.
Ricorda di quando l’universo intero, che nei giorni felici per lei rappresentava una luminosa sfida da affrontare con un ghigno di gioia, ha cominciato ad apparirle spaventoso e pieno di pericoli e vuoto, senza di lui.
Ripercorre a piccoli passi una favola che diventa tragedia, nella quale la giovane principessa si trasforma pian piano in piccola fiammiferaia, terrorizzata da una possibile solitudine, incapace persino di tenersi in piedi senza il sostegno della mano amata. Con la precisa sensazione di non meritare la fortuna di averlo conosciuto.
Sorride, Isolina: tutto questo per lui. E lui, ne è sicura, neanche lo ha mai sospettato.
Lo ha tenuto con sé, per sé, imparando a essere chi non era.
E quando suo marito è morto, soltanto il mondo violento e cattivo e infelice è rimasto a farle compagnia.
Caccia indietro una lacrima. Da molto tempo il mondo la vede piangere soltanto attraverso i vetri della sua finestra. Con un intimo sussulto, scorge poco lontano il portone di casa. Non si era accorta di aver ripreso a camminare.
Isolina affretta il passo. E’ già buio.

Il luogo


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