Ascanio

Quando vedete un uomo fermo al bordo di una piazza, lo sguardo piantato verso un punto preciso, vi capita mai di chiedervi che cosa sta aspettando? E da quanto tempo?
Vi trovate alle sue spalle, e quindi non potete decifrare dall’espressione del volto se l’attesa è piacevole, o penosa. Se sorride sapendo che dovrà aspettare ancora per poco, o se nel tempo ha invece perso la speranza. Se non è più un’attesa, ma soltanto rassegnazione. Se è amore, gioia, disperazione. O magari un tentativo di ingannare il tempo, oppure il visitare un luogo di ricordi, dopo una lunga assenza. Se è una pausa, o il termine di un tempo quasi infinito.
Forse qualcosa di importante sta per accadere, forse invece è ormai tutto completato. Risolto. O chiuso.

Anita

Anita è convinta di condurre una vita banale. E’ così che la pensa: banale. Se qualcuno le chiedesse informazioni intorno al suo quotidiano, risponderebbe: banale. Ma dentro di sé capisce che è soltanto un paravento. La formula che sceglie per non dire niente facendo finta di dire tutto. E lei, che è un’insegnante, potrebbe davvero aver selezionato questo aggettivo come un muro dietro al quale nascondersi. Una parola tutto sommato inoffensiva. Un comodo riparo per evitare la pioggia. Chi è capace di andare oltre al banale? Guardare al di là, per scoprire cosa nasconde. Nessuno indaga o approfondisce. E’ un’immagine talmente abusata che chiunque è persuaso di averne l’esatta visione, di comprenderne il pieno significato.