La panchina sulla quale è seduto è fredda, ma Attilio a questo non presta attenzione, così preso ad ammirare i nuovi colori che decorano l’ultimo scorcio della sua vita. Non ricordava fossero così belli.
Il verde sporco delle palme gli sembra meraviglioso. E le sfumature bluastre della statua alla sua destra disegnano il percorso di fiumi immaginari. Persino i colori delle odiate automobili appaiono incantevoli nella loro lucentezza. Si chiede pigramente perché non ha mai voluto prendere la patente: adesso una macchina gli farebbe comodo. In fondo, odiava le auto soltanto perché, quando attraversava la strada, non era in condizioni di vederle arrivare.
Attilio è stato catturato da una profonda meraviglia, quando si è liberato dalle perniciose cataratte che offuscavano lo splendore intorno, mascherandolo con l’assenza di luce.
Isolina
Isolina scende dall’autobus che l’ha raccolta davanti al cimitero chiamato “ai Lupi”. Prende il nome dalla famiglia che possedeva quell’immenso terreno. Adesso invece dei cavoli ci crescono le lapidi.
Ogni mercoledì Isolina si reca in visita alla tomba del marito, morto da più anni di quanti lei abbia voglia di ricordare.
Scende dall’autobus e non si volta a guardare la maestosa figura della Fortezza Nuova, come un tempo faceva. Non l’ha dimenticata: in fondo è il luogo dove ha ricevuto il primo bacio, anzi spesso si è soffermata ad ammirarla sorridendo tra sé, perché quel bacio non l’ha avuto dal tizio che sarebbe diventato suo marito.
Ma era tanto giovane, e in fondo nelle cose che contano soltanto il suo povero marito è riuscito a conoscerla davvero.
Incamminandosi verso casa, si chiede perché questa sera è scesa così tante fermate prima della solita. Dovrà percorrere l’intera via Grande, e questo le sembra un incredibile atto di coraggio.
All’aperto si sente vulnerabile, e le risulta difficile affrontare i ricordi. Anche se per ricordare davvero quella via, la sua mente dovrebbe spingersi un’eternità indietro nel tempo.
L’inizio
Comincia tutto qui. Al calar della sera. Sorseggio il mio caffè e accendo una sigaretta. Mi guardo intorno: qualcosa mi ricorda l’atmosfera di Parigi. Sarà la musica indo-pop trasmessa da piccoli altoparlanti, o le voci sguaiate di un gruppo di magrebini seduti a un tavolo alla mia sinistra, parole che sembrano fare a cazzotti con l’aria…