Questa è una parte del percorso che Francesco faceva, per tornare a casa. Da due anni in pensione, alla solita ora salutava gli amici con i quali aveva trascorso alcune ore a giocare a carte, e poi si incamminava lentamente, guardandosi intorno, perché la sua città gli piaceva. Le strade, i palazzi. Lo difendevano.
Adesso non è possibile fotografare Francesco nel suo tragitto verso casa. Francesco è morto.
Se n’è andato di buona mattina, tra la costernazione dei parenti, che ancora lo vedevano giovane, e forse lo era, ancora un po’. Nel fisico, almeno. Se n’è andato quella fredda mattina in cui è passato dal sonno profondo a qualcosa che non conosciamo, anche se sappiamo in attesa di ognuno di noi, appena dietro l’angolo, al termine di una fila di case stese a protezione dei nostri passi.
Giovanni
Giovanni mi guarda dall’interno di un locale molto illuminato. Il suo sorriso si riflette sulla vetrata prima di raggiungermi, e in qualche modo sembra distorcersi. Ma gli occhi sono amichevoli. Anche il suo amico mi guarda e sorride, mentre scatto la foto. Giovanni è uno dei due, ma adesso non saprei dire quale, e in fondo non ha importanza. Giovanni è un sorriso giovane oltre una parete trasparente, tesa quasi a significare la distanza che ci separa. Ma questa è solo un’illusione, o meglio, il senso di una condanna che non esiste se non nelle nostre menti, le quali si immaginano separate.
I nostri occhi calcolano le distanze, in metri, anni, speranze.
Giacomo
Una volta a casa, con estrema cura, come fossero documenti molto importanti, tirerà fuori dalla cartella un pacco di spaghetti di grano duro, una capocchia d’aglio e una bottiglia da un quarto di litro di olio extra vergine, spremitura a freddo. Nel giaccone sono riposti con cura un paio di peperoncini forniti dal suo ortolano di fiducia, il quale con poca eleganza e fare cospiratorio, infilandogli la piccola busta bianca nella tasca alta, ha detto: ammazzavermi. Poi spingendo con un dito l’ha nascosta agli occhi del mondo, bene in fondo. Giacomo ha sorriso, rispondendo con due brevi pacche sul petto, all’altezza del cuore.
A guardarli sarebbero potuti sembrare la pantomima di due agenti segreti piuttosto in avanti negli anni, e forse per questo quasi insospettabili. Anche il cenno di saluto che si sono scambiati, nel dividersi, poteva ben figurare in un film in bianco e nero.
Anonimo
La prima cosa veramente personale che ha perduto, quando le vicissitudini della vita lo hanno catapultato a vivere per strada, è il cognome.
Senza più una casa, privato dell’automobile, nessun recapito postale e la moglie svanita chissà dove, all’improvviso e nel modo più completo il suo cognome smette di avere un senso e una qualche utilità. Un orpello del passato, per quanto ancora recente. Non gli serve più.
Ci ha pensato a lungo, nei primi giorni, cercando di capire che cosa questo potesse significare per lui. Ma non è mai riuscito ad andare oltre a una vaga sensazione di vuoto stupore.
Antonio
Mentre cammina lungo il molo del Porto Mediceo sente come una musica nascere dal profondo del cuore. O magari non è così: dal fondo del cuore è una frase fatta, un luogo comune, non riesce a spiegare un improvviso moto dell’anima, al massimo può banalizzarlo, rendendolo simile a una battuta di un film di terz’ordine.
E invece la sensazione che prova è un qualcosa di indefinibile, ma genuino, inaspettato e forte come la corrente del mare innalzata dalla luna e sospinta dal vento, come uno scroscio di pioggia imprevisto e violento, ma a suo modo naturale e stranamente, dolce.
Paola
Pensava di fare una passeggiata in quasi solitudine, nel limbo grigiochiaro di una domenica mattina, dimenticandosi però che ogni prima domenica del mese i negozi sono aperti. L’atmosfera di serena tristezza che cercava, finalizzata a raggiungere un senso di distacco da quanto la circonda, viene forata e colorata dalle luci delle vetrine. Piccoli riquadri di calore riverberano senza riflesso sull’asfalto della strada. Quasi non vuole crederci, si sente tradita, ma non può farci niente. Sorride, pensando che in quella città non ha mai trovato quanto voleva. Ma non è così grave, in fondo: solo una piccola crepa da aggiungere all’affresco del quale presto perderà memoria.
Domani.
Veronica
Una domenica mattina, di buon’ora, Veronica attraversa piazza Cavallotti, sgombra dei banchi di frutta e verdura, quasi desolata nell’assenza dei richiami lanciati ad alta voce per i carciofi più belli e le mele più gustose. La luce invade lo spazio vuoto e non trovando la rifrazione dei mille colori sui quali rimbalzare gioiosa, assume la sfumatura grigia della pavimentazione consumata dal tempo e dai frequenti lavaggi. Un luogo da attraversare in fretta, tagliando la coltre di calma tristezza che lo pervade.
La piazza in quel momento è vuota, e fa sembrare la città deserta, e triste. Veronica cammina veloce, desiderosa di uscirne fuori. Poco distante, alla vista dei colonnati del Duomo, in piazza Grande, inconsapevolmente tira un sospiro di sollievo.
Nella borsa in plastica che le ballonzola al fianco, nasconde un segreto.
Vinicio
Lui non lo sa, ma ha mancato di pochi minuti l’incontro con il suo più grande amico dell’infanzia. Chissà se lo avrebbe riconosciuto. Il compagno di banco alle scuole elementari. La difesa del fianco sinistro nelle lunghe battaglie combattute a colpi di cerbottana. Lanciatore infallibile di bocco nella modalità di tiro Tacco Passo al Volo. Grandi mazzi di figurine Panini a riempire le tasche dei pantaloni corti. Ma Attilio è ormai lontano, con le sue salsicce e la passata di pomodoro. L’incontro possibile è svanito, forse rimandato, forse perso per sempre.
Vinicio si avvia lentamente all’uscita del Mercato centrale. Non ha comprato niente. Voleva soltanto compiere un itinerario di ricordi, però tutto gli sembra diverso. Prova una strana forma di delusione, mai sperimentata prima.
Mercato centrale
Siamo arrivati al Mercato centrale, il cuore pulsante della città. Frequentato nel corso degli anni da numerose generazioni di livornesi, ognuno nelle sue ampie sale può trovare il ricordo di qualche persona cara, perduta per incuria o sfortuna, o per legge naturale. Varcare la soglia di uno dei grandi portoni ha per molti il senso di un rientro in famiglia.
Attilio è appena uscito, dopo aver comprato un paio di salsicce dal suo norcino di fiducia, e un barattolo di fagioli rigorosamente garantito senza conservanti. Adesso pedala con forza verso via Garibaldi, pregustando il suo piatto preferito: fagioli in umido con salciccia, ripassati in padella con salsa rustica di pomodoro, e un rametto di rosmarino annegato nel sugo a dare un tocco di speziato. Naturalmente, non ha dimenticato di procurarsi una boccia di vino rosso. Quando poserà il fiasco sulla tavola, come sempre dirà sottovoce: è arrivata la luce.
Ascanio
Quando vedete un uomo fermo al bordo di una piazza, lo sguardo piantato verso un punto preciso, vi capita mai di chiedervi che cosa sta aspettando? E da quanto tempo?
Vi trovate alle sue spalle, e quindi non potete decifrare dall’espressione del volto se l’attesa è piacevole, o penosa. Se sorride sapendo che dovrà aspettare ancora per poco, o se nel tempo ha invece perso la speranza. Se non è più un’attesa, ma soltanto rassegnazione. Se è amore, gioia, disperazione. O magari un tentativo di ingannare il tempo, oppure il visitare un luogo di ricordi, dopo una lunga assenza. Se è una pausa, o il termine di un tempo quasi infinito.
Forse qualcosa di importante sta per accadere, forse invece è ormai tutto completato. Risolto. O chiuso.